giovedì 27 novembre 2014

PERCHÈ CHIEDIAMO IL RICONOSCIMENTO CULTURALE, SOCIALE E NORMATIVO DELLA VIOLENZA OSTETRICA.


Freedom for Birth Rome Action Group chiede il riconoscimento culturale, sociale e normativo della VIOLENZA OSTETRICA.

Come ormai sanno coloro che ci seguono e ci sostengono nella rivendicazione dell'autodeterminazione e della libertà di scelta della donna sulla propria salute riproduttiva e, in particolare, nel percorso nascita, il nostro impegno è finalizzato, tra l'altro, al riconoscimento della violenza ostetrica, sia da un punto di vista socio-culturale che normativo, come primo passo per la sua delegittimazione e per la sua eliminazione.

In vista di questo obiettivo, siamo attive sia con iniziative finalizzate alla diffusione di informazioni ed al sostegno di processi di empowerment nelle donne, con momenti di confronto, con iniziative di sensibilizzazione,
  
sia alimentando un dibattito ed una riflessione, del tutto nuova nel panorama italiano, incentrata sulle cause e sulle motivazioni all'origine della violenza nel parto, che resta a tutt'oggi un vero tabù. Il nostro impegno si snoda anche sul piano pratico, attraverso sportelli di assistenza ostetrica, psicologica e legale.

Riteniamo imprescindibile, quando si parla di violenza contro le donne, parlare di violenza ostetrica.
Così, anche nella settimana in cui ricorre la giornata mondiale contro la violenza sulle donne, vogliamo ribadire le nostre rivendicazioni, nella convinzione e consapevolezza che ci si deve mobilitare non solo un giorno all'anno o sotto la luce dei riflettori, come crediamo di dimostrare attraverso il nostro impegno costante.
Noi chiediamo che lo Stato e le Regioni riconoscano  la violenza ostetrica quale grave violazione dei diritti umani delle donne in materia di salute riproduttiva e che si impegnino, su tutti i fronti ed in primis con la prevenzione, a contrastarla.
Crediamo, infatti, sia fondamentale una codificazione normativa di questo silenzioso fenomeno, non tanto per la necessità che venga individuata una specifica ipotesi di reato, atteso che nel nostro ordinamento esistono già norme penali da invocare per punire gli abusi sul corpo della donna, quanto, piuttosto, perché ci sembra doveroso, in una società civile, che venga a chiare lettere definita e deplorata questa, così come ogni altra, forma di maltrattamento e di mancanza di rispetto nei confronti della donna.

Chiediamo, anche, che le strutture sanitarie e gli operatori sanitari coinvolti nei percorsi nascita e della salute della donna rivisitino i protocolli, i primi, e le proprie coscienze, i secondi, uniformando gli uni e le altre al più profondo ed integrale rispetto dei diritti e delle scelte delle donne e adeguandoli alle evidenze mediche ed alle dichiarazioni e raccomandazioni degli organismi internazionali sulla salute.

Ci sembra a questo punto importante offrire una pur rapida analisi comparata sul tema della violenza ostetrica, ricordando le leggi dei Paesi che, unici finora, l'hanno codificata: Venezuela, Argentina, Messico.
In Venezuela, nel 2007, l’Assemblea Nazionale ha approvato all’unanimità, e con il grande appoggio di donne delle organizzazioni politiche, accademiche e professionali, una legge quadro sul diritto delle donne a vivere una vita libera dalla violenza. Alla seduta hanno partecipato più di 4000 donne di tutti i settori sociali e politici. La Legge del 16 marzo 2007 "Léy organicasobre el derecho de las mujeres a una vida libre de violencia", identifica 19 forme di violenza contro le donne: psicologica, fisica, domestica, sessuale, lavorativa, patrimoniale ed economica, ostetrica, istituzionale, simbolica; inoltre la sterilizzazione forzata, il traffico e la tratta, le molestie, lo stupro, la prostituzione forzata, la schiavitù sessuale.
In particolare, al punto 13 dell'articolo 15, così si definisce la violenza ostetrica "Se entiende por violencia obstétrica la apropiación del cuerpo y procesos reproductivos de las mujeres por personal de salud, que se expresa en un trato  deshumanizador, en un abuso de medicalización y patologización de los procesos naturales, trayendo consigo pérdida de autonomía y capacidad de decidir libremente sobre sus cuerpos y sexualidad, impactando negativamente en la calidad de vida de las mujeres" (Si intende per violenza ostetrica l'appropriazione del corpo e dei processi riproduttivi delle donne da parte del personale medico, che si traduce in un trattamento disumano, in un eccesso di medicalizzazione e patologizzazione dei processi naturali, comportando la perdita di autonomia e di capacità di decidere liberamente sul proprio corpo e sulla propria sessualità, impattando negativamente sulla  qualità di vita delle donne).

Nello stesso provvedimento, all'articolo 51, sono esemplificati atti e comportamenti che integrano una violenza ostetrica: l’attenzione intempestiva e inefficace nelle emergenze ostetriche; forzare la donna a partorire in posizione supina, con le gambe sollevate, quando i mezzi necessari per svolgere un parto verticale sono disponibili; impedire il contatto/attacco iniziale del bambino con sua madre senza una causa medica impedendo così l’attaccamento precoce e allattamento al seno immediatamente dopo la nascita; modificare il naturale processo di nascita a basso rischio, utilizzando tecniche di accelerazione, senza ottenere prima il consenso volontario, esplicito e informato della donna; l'esecuzione di taglio cesareo quando il parto naturale è possibile, senza ottenere il consenso volontario, esplicito e informato da parte della donna.
La violenza ostetrica si esplica quindi attraverso la messa in atto, da parte del personale sanitario, di un’assistenza inefficace e di interventi medici non necessari e non acconsentiti dalla donna stessa, durante il travaglio e il parto.
Queste condotte sono considerate un reato, multato con una sanzione pecuniaria e con l’avvio di un procedimento disciplinare a carico del sanitario che le agisce.

La legge venezuelana, quindi, non solo riconosce la violenza ostetrica, la definisce e la rende visibile, la condanna e ne delegittima il ricorso ma, soprattutto, mette la donna al centro del percorso nascita e ne legittima il ruolo di protagonista. Mette al centro la persona e la sua soggettività, il diritto di ogni donna di ricevere un’assistenza rispettosa che non violi la sua dignità, la sua integrità e la sua scelta volontaria, libera, informata sul proprio corpo; la donna è ritenuta quindi assolutamente capace di intendere e volere - e, purtroppo, non è un dato scontato - e di esercitare il diritto di scelta anche in sala parto.
In Argentina, similmente al Venezuela, la Legge 26.485 del 1° aprile 2009 "Ley de protección integral para prevenir, sancionar y erradicar la violencia contralas mujeres en los ámbitos en que desarrollen sus relacion interpersonales" (Legge di protezione integrale per prevenire, sanzionare ed eliminare la violenza contro le donne negli ambiti in cui si svolgono le sue relazioni interpersonali), all'articolo 6, si definiscono sei forme di violenza: violenza domestica, violenza istituzionale, violenza in ambito lavorativo, violenza contro la libertà riproduttiva, violenza mediatica e violenza ostetrica.
In particolare, la violenza ostetrica è così delineata "e) Violencia obstétrica: aquella que ejerce el personal de salud sobre el cuerpo y los procesos reproductivos de las mujeres, expresada en un trato deshumanizado, un abuso de medicalización y patologización de los procesos naturales, de conformidad con la Ley 25.929" (Violenza ostetrica: quella esercitata dal personale sanitario sul corpo e sui processi riproduttivi delle donne, che si traduce in un trattamento disumano, un eccesso di medicalizzazione e patologizzazione dei processi naturali, in conformità con la Legge 25.929).
A sua volta, la Legge n. 25.929 sui "Derechos de Padres e Hijos durante el Proceso de Nacimiento. Declaración de Interés delSistema Nacional de Información Mujer, por parte del Senado de la Nación. Declaración sobre difusión del Parto Humanizado" (Diritti dei genitori e dei figli durante il percorso nascita), indirizzata tanto al sistema sanitario pubblico che a quello privato, riconosce alla donna, durante tutto il percorso nascita (gravidanza, travaglio di parto, parto e post-partum), il diritto ad essere informata su ogni intervento medico che possa aver luogo durante tutto il percorso nascita, in modo che possa scegliere liberamente tra le diverse alternative; il diritto ad esser trattata con rispetto, in modo personalizzato, che garantisca l'intimità durante tutto il processo assistenziale e tenga in considerazione la sua cultura; il diritto ad esser considerata come persona sana, in modo che se ne faciliti la sua partecipazione come protagonista del suo proprio parto; il diritto ad un parto naturale, rispettoso dei tempi biologici e psicologici, senza pratiche invasive e somministrazione di farmaci non giustificata dallo stato di salute della donna partoriente o del nascituro; il diritto ad essere informata su ogni evoluzione del suo parto, dello stato di suo figlio o sua figlia, e in generale, ad essere resa partecipe delle varie azioni dei professionisti; il diritto a non essere sottoposta a nessun esame  o intervento esplorativo, salvo consenso scritto; ad avere accanto a sé un persona di sua fiducia durante il travaglio, il parto e il postpartum; a tenere accanto a sé sua figlia o suo figlio durante la permanenza in ospedale, salvo che il nascituro non richieda cure speciali; ad essere informata, dall'inizio della gravidanza, sui benefici dell'allattamento materno ed a ricevere sostegno per iniziare ad allattare, a ricevere consigli e informazioni per la cura di se stessa e di sua figlia o suo figlio, ad essere informata specificamente sugli effetti collaterali del tabacco, dell'alcol e delle droghe sulla bambina o sul bambino e su se stessa.
In Messico, infine, il 30 aprile 2014, il Senato ha apportato modifiche ed integrazioni alle proprie leggi nazionali sulla violenza contro le donne, introducendo l'ipotesi della violenza ostetrica.
In particolare, l'articolo 6 della Ley General de Acceso a una Vida Libre de Violencia, la violenza ostetrica è definita come "toda acción u omisión por parte del personal médico y de salud que dañe, lastime, denigre o cause la muerte a la mujer durante el embarazo, parto y puerperio" (ogni azione o omissione da parte del personale medico e sanitario che danneggia, ferisca, denigri o causi la morte della donna, durante la gravidanza, il parto o il puerpuerio).
L'articolo 5 della Ley de acceso de las mujeres auna vida libre de violencia para el Estado Guanajuato, riprendendo la stessa definizione vi comprende anche la negligenza nell'assistenza medica.
L'articolo 7 della Ley de acceso de las mujeres auna vida libre de violencia para el Estado de Veracruz de Ignazcio de La Llave, e l'articolo 6 della Ley de acceso de las mujeres a una vida libre de violencia para el Estado de Chiapas, così recitano "Apropiación del cuerpo y procesos reproductivos de las mujeres por personal de salud, que se expresa en un trato  deshumanizador, en un abuso de medicalización y patologización de los procesos naturales, trayendo consigo pérdida de autonomía y capacidad de decidir libremente sobre sus cuerpos y sexualidad; se consideran como tal, omitir la atención oportuna y eficaz de las emergencias obstétricas, obligar a la mujer a parir en posición supina y con las piernas levantadas, existiendo los medios necesarios para la realización del parto vertical, obstaculizar el apego precoz del niño o niña con su madre sin causa médica justificada, negándole la posibilidad de cargarlo y amamantarlo inmediatamente después de nacer, alterar el proceso natural del parto de bajo riesgo, mediante el uso de técnicas de aceleración, sin obtener el consentimiento voluntario, expreso e informado de la mujer y practicar el parto por vía de cesárea, existiendo condiciones para el parto natural, sin obtener el consentimiento voluntario, expreso e informado de la mujer (L'appropriazione del corpo e dei processi riproduttivi delle donne da parte del personale sanitario, che si traduce in un trattamento disumano, in un eccesso di medicalizzazione e patologizzazione dei processi naturali, causando la perdita di autonomia e di capacità di decidere liberamente del proprio corpo e della sessualità; si considerano come tale omettere la cura tempestiva ed efficace delle emergenze ostetriche, costringere le donne a partorire in posizione supina e con le gambe sollevate, avendo i mezzi necessari per partorire in verticale, ostacolare l'attaccamento precoce del bambino o bambina con sua madre senza una causa medica giustificata, negandole la possibilità di accudirlo e di allattarlo subito dopo la nascita, alterare il processo naturale del parto a basso rischio, mediante l'utilizzo di tecniche di induzione, senza ottenere il consenso volontario, espresso e informato della donna e praticare il taglio cesareo esistendo condizioni per il parto naturale, senza ottenere il consenso volontario, espresso e informato della donna).
Quelle appena sopra ricordate ci sembrano davvero normative centrate sul rispetto della donna, del suo corpo e della sua dignità, sulla promozione della fisiologia, sul riconoscimento del diritto di autodeterminazione sulla salute riproduttiva; normative che affermano il primato della donna e che recepiscono l'importanza di un sistema di salute che, da un lato, riconosca alla donna la sua individualità e la sua competenza decisionale e, dall'altro, le garantiscano sostegno, rispetto, trasmissione di informazioni corrette ed esaustive

Ci sembrano, quindi, leggi realmente basate su un autentico approccio di promozione della salute, secondo il quale la salute è non già l'assenza di malattia, ma il benessere della persona, per il cui raggiungimento è determinante la valorizzazione della capacità di prendere decisioni e di assumere il controllo delle circostanze della propria vita, così come ci insegna l'OMS nella Carta di Ottawa del 1986.
Leggi, quelle venezuelana, argentina e messicana, che, senza cadere nella trappola ideologizzante di una capziosa visione dicotomica che vede contrapposti modello biomedico/approccio naturalista, hanno correttamente e coraggiosamente saputo stigmatizzare l'eccesso di medicalizzazione, inteso quale applicazione di procedure mediche non necessarie e non acconsentite, correlandolo ad una arbitraria, ingiustificata e, quindi, abusiva alterazione dei processi fisiologici. Leggi che, inoltre, hanno saputo recepire appieno le Raccomandazioni dell’OMS del 1985, imponendo la tutela della relazione madre-neonato e indicando come illecita la separazione madre-figlio/a senza valide indicazioni mediche. Tutte le evidenze scientifiche infatti sottolineano l'importanza fondamentale del contatto subitaneo pelle-pelle tra madre e figlia/o e l’attaccamento al seno nelle prime due ore dalla nascita, per l’avvio dell’allattamento, l’instaurarsi della relazione affettiva di attaccamento e per il benessere psicologico e fisico di entrambi.
Non meno importante, poi, è che le stesse leggi prevedano specifici obblighi istituzionali, delineino meccanismi di denuncia delle violenze accessibili alle donne, istituiscano organismi di controllo e di monitoraggio sullo stato di attuazione e sul rispetto delle disposizioni normative stesse, nonché organismi di tutela con specifica formazione di genere, strumenti ed accorgimenti indispensabili per rendere effettivi i diritti formalmente riconosciuti.

E in Italia?

In Italia  - Paese che non ha ancora attuato la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e si è limitato ad approvare una legge sul femminicidio dal carattere spiccatamente emergenziale e securitario -, manca del tutto il riconoscimento normativo della violenza ostetrica tra le forme di violenza contro le donne.
Solo in alcune Regioni troviamo normative sul percorso nascita e sulla tutela della dimensione psico-affettiva del parto (si veda, ad esempio, la Legge Regione Lazio n. 84/1985), le quali, tuttavia, restano del tutto inattuate e vengono quotidianamente frustrate da prassi ospedaliere che si sostanziano in profondi, sottaciuti, subdoli maltrattamenti verso le donne e abusi sui loro corpi.
In Italia, i protocolli ospedalieri sono molto spesso lontani dalla messa in pratica di trattamenti umani e rispettosi del corpo della donna, alla quale sono frequentemente disconosciute le più basilari, comprensibili esigenze, come quella di avere accanto a sé una persona di fiducia o quella di bere, mangiare o muoversi durante il travaglio oppure quella di ricercare la miglior posizione per il proprio partorire.
In Italia, gli ospedali amici dei bambini secondo le direttive OMS - Unicef sono una assoluta rarità, mentre è consuetudine pressoché generalizzata quella della somministrazione di soluzioni glucosate, così come quasi del tutto assente il sostegno alle donne, soprattutto se cesarizzate, per l'inizio dell'allattamento. Davvero pochi gli ospedali in cui si riconosce fattivamente l'importanza dell'immediato contatto pelle a pelle tra mamma e neonata/o e si articolano procedure (ivi compresa la prima visita pediatrica al neonato/a) per garantire questo contatto. Persino negli ospedali che attuano il cosiddetto rooming-in, è abitudine "prelevare" tutti i neonati e le neonate del reparto per portarle/i a visita dal pediatra ospedaliero tutte/i insieme e  riportarle/i dalle loro mamme solo a chiusura del turno di visite (con ore e ore di stazionamento nei nidi e pianti inconsolati se non a suon di soluzioni glucosate).
In Italia, come ci raccontano le donne che incontriamo, molte strutture ospedaliere pubblicizzano la possibilità di scelta per la donna di un parto attivo (ma, poi, ci chiediamo: per quanto ancora si vuole alimentare l'idea "medicocentrica" di un parto "passivo", in cui è il sanitario che "fa partorire" e non la donna che partorisce?), salvo poi imporre seccamente la posizione supina alla donna, giustificata con un "su, signora, si metta sdraiata sul lettino, che altrimenti ci sporca ilpavimento". 
Da noi, gli abusi sul corpo delle donne in sala parto sono una routine: interventi medici non necessari e non acconsentiti, praticati persino in contrasto con le indicazioni dei protocolli medici internazionalmente riconosciuti (pensiamo agli alti tassi di episiotomia, che secondo una Indagine Conoscitiva sul Percorso Nascita del 2002, si stima essere eseguita nel 70% circa dei parti; pensiamo alla manovra di Kristeller, neppure indicata nelle Sdo e nei Cedap; al monitoraggio del battito cardiaco fetale continuo, che costringe la donna a restare legata ad un apparecchio, ecc.). Per non parlare dei tagli cesarei, per i quali l'Italia ha un tasso medio vicino al 40% tra i più alti al mondo (secondo solo alla Grecia in Europa) e che ci offre una evidenza palmare di come in Italia si sia ben lontani da una cultura della fisiologia e della scelta libera ed informata.
Siamo ben lontani, è evidente, da un sistema di promozione della salute della donna nell'accezione sopra ricordata, basato sul rispetto dei suoi diritti personali e inviolabili e l'Italia, con il suo modello di assistenza  paternalistico e irrispettoso, è certamente un destinatario elettivo della recente Dichiarazione dell'OMS sulla "La prevenzione e l'eliminazione della mancanza di rispetto e dei maltrattamenti durante il parto nelle strutture sanitarie" (di cui abbiamo parlato qui), documento in cui l’OMS denuncia la diffusione in tutto il mondo di pratiche assistenziali non rispettose, abusanti e violente, ne sottolinea i rischi e gli effetti negativi sulle donne e i loro figli e figlie e chiama all’azione diversi soggetti, tra cui Governi e Parlamenti, affinché il fenomeno della violenza ostetrica venga riconosciuto, studiato, contrastato ed eliminato.
E, tuttavia, a fronte di questo vuoto, normativo e socio-culturale, si rinsalda ancor di più la nostra richiesta di un riconoscimento, culturale oltre che giuridico, della violenza ostetrica, della quale proponiamo una definizione, mutuata dalla Legge del Venezuela ed elaborata alla luce della già ricordata Dichiarazione OMS del 2014, auspicando che le disposizioni di legge sulla violenza contro le donne, nazionale e regionali, vengano integrate, con essa e con la previsione di meccanismi di controllo, denuncia e risarcimento accessibili:
"violenza ostetrica: l'appropriazione dei processi riproduttivi del corpo delle donne da parte di personale sanitario, la trasformazione, nell’ambito del percorso nascita, dei processi fisiologici in processi patologici, la frustrazione dell’autonomia e dell’autodeterminazione della donna in ordine al proprio corpo ed alla propria sessualità. Costituiscono violenza ostetrica, a titolo esemplificativo: una situazione in cui la donna, durante la gravidanza, il travaglio ed il parto, non è assistita opportunamente edefficacemente o non riceve l’assistenza necessaria in ragione delle proprie scelte, della propria cultura e della propria dignità, ovvero non riceve i trattamenti di analgesia farmacologica o non farmacologica che eventualmente ella richieda; vengono praticati atti medici non necessari o vengono somministrati farmaci non necessari, in contrasto con le linee guida internazionali e con le evidenze scientifiche o, comunque, non consapevolmente acconsentiti dalla donna; è obbligata a partorire in posizione supina o comunque in posizione imposta dal personale sanitario; le viene negata la possibilità di vedere il suo bambino appena nato e, se lo desidera, di tenerlo con sé continuativamente durante la degenza; le viene impedito di bere e mangiare durante il travaglio e il parto; viene alterato il procedimento fisiologico del parto e viene praticato un cesareo inutile o privo di indicazioni cliniche. Costituisce altresì violenza ostetrica negare, rendere gravoso od ostacolare, con condotte attive od omissive, il diritto della donna di scegliere sulla propria salute riproduttiva, di interrompere la gravidanza o di ricorrere alla contraccezione di emergenza e non".
N.B.: Le traduzioni dei testi normativi sopra richiamati sono state realizzate dalle attiviste volontarie di FFB RAG a  titolo gratuito e non costituiscono traduzioni ufficiali.


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